Intorno al Corno Piccolo

Un anello in terra del Gran Sasso tra i più belli da percoccere.
Dalla Madonnina per l'inevitabile sentiero fino al rifugio Franchetti. Inevitabile e scontata anche la salita al passo del Cannone, la discesa per la sella del Brecciaio e il rifugio Garibaldi; come scontato è il rientro per la val Maone. Poche escursioni meritano tanta scontata ovvietà, una giornata di bello assoluto che a fatica si dimenticherà.


Marina lo ha proposto a ripetizione gli ultimi tempi, desiderava tornare sul Gran Sasso e dopo tanti approcci rimandati Dio solo sa perché oggi ci siamo decisi, forse perché era scritto che ci si doveva fare un regalo, una giornata di luce e di condizioni meteo speciale che capitano quasi mai, che fanno diventare unica e indimenticabile la giornata; ed una giornata così era giusto fosse destinata a questo teatro incomparabile che è il Gran Sasso. Andiamo per ordine a scoprire itinerario e scenari di oggi. Partenza da Prati di Tivo, giornata fresca e luminosa, tutto faceva sperare in una grandiosa giornata, il giro era lungo e vario, non rimaneva che riporre le speranze dentro lo zaino ed andare incontro alle aspettative. Con la funivia saliamo alla Madonnina, da dove per il rifugio Franchetti inizia il consueto serpentone di escursionisti tipico del periodo estivo e il vero motivo forse che ci ha tenuto così a lungo lontani. Sotto le dritte pareti del Corno Piccolo sfila il sentiero che si fa strada tra blocchi e sfasciumi di pietre, affronta quasi subito la breve cengia delle “Scalette”, ben protetta da cavo, e prende ad inerpicarsi sui frequenti tornanti via via sempre più brevi e stretti, l’orizzonte arriva al mare, oggi di un azzurro bellissimo come il cielo, leggeri batuffoli di bianche nuvole si formano dal nulla e interrompono la continuità dell’orizzonte, come si formano svaniscono per poi tornare sotto forma di nebbia che avvolge le pareti incombenti lasciando pochi spiragli ad esaltarne l’ardita verticalità. Voci arrivano dalle pareti, cordate di scalatori le affrontano su varie vie, puntini colorati nella vastità della pietra, sono difficili da individuare anche quando le nuvole sfuggenti le liberano… Arriviamo al Franchetti, complice la bella giornata super affollato, sostiamo poco e riprendiamo verso la sella dei due Corni (1,50 ore), uno degli angoli del Gran sasso che preferisco, la visuale spazia su tanti ambienti diversi, sulla profonda val Maone, sulle bastionate dei pilastri dell’Intermesoli, sulla perla azzurra del lago di Campotosto, su frammenti del Corvo e della Laga a Nord, le fiamme del Corno Piccolo svettano a poca distanza li accanto, il mare e le colline del teramano ad Est e le vette del Corno Grande a Sud, la sella si allunga ad Ovest fino al passo del Cannone e si perde sui contrafforti dei 2912m della vetta più alta degli Appennini, i bianchi e alti cumuli nuvolosi che si formano e svaniscono nel tempo di un niente, interrompono tutte le linee delle montagne e degli orizzonti arricchendoli di dettagli ed interesse; cartoline diverse le une dalle altre, si inseguono istante per istante, i colori sono forti dominati dall’azzurro del cielo oggi particolarmente turchino. Una giornata da sogno nell’ambiente dei sogni, la giornata perfetta e siamo carichissimi! Con la traccia disegnata sui ghiaioni da cui è formata la lunga sella raggiungiamo i primi contrafforti del passo del Cannone, facili passaggi su roccia, poco esposti e ben assicurati dove l’esposizione aumenta o dove i passaggi o i salti si fanno poco più complicati; si fa fila in alcuni passaggi, c’è folla e come sempre capita molto variegata, le scarpette da ginnastica la fanno come sempre da padrone. La recente ferrata, tempo fa tutta questa protezione non esisteva, aiuta non poco ad attraversare il tratto di parete; permette di godere della vista spettacolare che si va allargando su tutta Laga e fino ai Sibillini, sulle linee del Corno Piccolo che mutano, rende il passo del Cannone divertente e intrigante. E’ breve però il tratto attrezzato, finisce troppo presto, atterriamo sui breccioni della traccia della mia normale per il Corno Grande che sembra lo struscio di un corso cittadino, il serpentone che sale alla vetta è impressionante, una processione, un cordone umano continuo, una aberrazione del turismo montano, un fenomeno che va crescendo esponenzialmente come se quella fosse l’unica cima e l’unica montagna degli Appennini. Contro corrente scendiamo sui tornanti verso la sella del Brecciaio, si aprono altri orizzonti, altri profili conosciuti; la discesa dalla sella verso i crinali di Campo Pericoli rimane sempre quel breve tratto scorbutico di roccia che si va sbriciolando, ghiaione sconnesso, solchi profondi di scolo, in qualche tratto rimanere in piedi è puro senso di equilibrismo ma come sempre si atterra e da li a poco una volta in piano deviamo sul primo sentiero sulla destra, il 101 che ci porterà al rifugio Garibaldi. Finalmente soli, quasi soli, lasciato il sentiero per la vetta immediatamente ritorniamo nella dimensione di montagna che più ci piace, quella solitaria, dei sentieri piccoli, che si dipanano tra le alture del territorio; raggiungiamo la piramide che sorge su una altura sotto lo Scrimone e immediatamente sopra il rifugio Garibaldi, non avevo mai avuto occasione di vederla e sapere cosa fosse, di fatto, è una tomba, costruita il posizione eccellente, sotto il Primo Scrimone, a dominare la piana di campo Pericoli e con tutta la dorsale del Portella e del Cefalone che gli scorre davanti. E’ la tomba di Edoardo Martinori, ingegnere morto nel 1935, pioniere del CAI di Roma e tra i promotori della costruzione del rifugio Garibaldi; erano altri tempi, si poteva e si costruiva comunque in sintonia col territorio, oggi avrebbero posto una croce alta almeno 10 metri. Scendiamo in direzione del sentiero che avevamo lasciato, subito si iniziano a scorgere i rossi dettagli del tetto del rifugio Garibaldi (+1,50 ore). E’ chiuso, in restauro, intorno è disseminato materiale da lavoro, ben presto verrà sepolto dalla neve in attesa della prossima estate. Sostiamo poco lontano per mangiare qualcosa, per gustare il silenzio e per perderci nel rimescolamento delle nuvole che sembrano giocare col rifugio Duca degli Abruzzi lassù in alto, compare, viene inghiottito, viene illuminato dal sole, e riscompare; nel frattempo quelle nuvole non sono più bianche, sono spesse e grigie, continue a chiudere in certi momenti l’intera dorsale del Portella, quando ripartiamo per entrare nel cuore di Campo Pericoli a tratti sembra farsi notte tanto sono scure. Un ambiente suggestivo, indefinibile, enorme una volta che ci sei dentro, il sentiero, una traccia sottile ma molto evidente aggira le tante dolci elevazioni della valle, continua a scendere e girare quasi su se stesso come non ci fosse una fine, incredibile quanto sia vasta questa valle vista da dentro; fino ad un bivio, dove una tabella di quelle romanticissime che solo su Gran Sasso si trovano ancora indica le direzioni da seguire, per il passo della Portella, continuando diritti, oppure per la Val Maone deviando repentinamente sulla destra. Ovvio prendiamo questa seconda via che si dirige a Nord e continuiamo ad abbassarci in un dedalo di praterie, avvallamenti e tonde colline, davanti l’Intermesoli “sobillato” dalla nuvolaglia nel suo non mostrarsi e farlo solo per minuscoli dettagli offre uno spettacolo sfuggente e sempre diverso, da qui è una piramide di roccia incredibilmente possente. Il Cefalone e tutto il suo muraglione Est sono tagliati di netto dalle nuvole, non se ne intuiscono le linee. Scivoliamo a poca distanza dalle Capanne di Campo Pericoli, una sorta di Caciara ascolana o di Pajara o tholos della Majella, e da ciò che resta dei recinti a secco, antica testimonianza di una pastorizia primordiale. La traccia vira lentamente verso Est, si va infilando tra il Primo Scrimone e i pilastri dell’intermesoli in attesa di imboccare finalmente la val Maone e prima di entrarci rimaniamo impressionati da una altra valle, meglio da un enorme canale ghiaioso, quello che sale per la sella dei Grilli, infinito, un incubo se si pensa di prenderlo da qua sotto ma maestoso nelle sue dimensioni e finta dolcezza. Le nuvole all’imbocco della val Maone sono basse e scure, mozzano i pilastri e non gli rendono giustizia appiattendo l’enorme parete, la prima boscaglia cambia lo scenario conteso tra arse praterie, immani ghiaioni e bassa faggeta; un colpo da maestro delle migliori scenografie lo fa il buon Dio, chi altri potrebbe farlo in fondo, le nuvole si sfrangiano lasciando spiragli verso le spalle del Corno Piccolo, nello stesso istante raggi di sole riescono a filtrare la densa coperta e le illuminano di quel bianco perlato che le esalta, lembi di cielo azzurro e il grigio delle nuvole intorno fanno da cornice indefinita. La potenza della luce e della montagna che si combinano, immagine indimenticabile. Non finisce più la val Maone, sentiamo la stanchezza del lungo anello e non pensiamo ad altro che ad arrivare a Prati di Tivo, una sosta alle sorgenti del Rio Arno, o meglio a ciò che l’uomo ha ridotto tali, una sosta alle più belle e famose cascate e riprendiamo a salire sulla carrareccia a destra in corrispondenza del bivio per Pietracamela. A tormentarci non c’è solo la salita che per quanto leggera finisce di piegarci, fuori dalla gola esce anche il sole e picchia come un forsennato, siamo carne da macello e pensiamo solo ad arrivare; non siamo più quelli di un tempo, è innegabile, ma ci siamo e rimaniamo in pista, non è poco. Tagliamo gli ultimi tratti di faggeta invece di seguire fino in fondo la strada, sbuchiamo sui pratoni che a breve diventeranno campi da sci e intravediamo la conclusione (+2,45 ore). Una giornata strepitosa come lo è questa montagna, stupenda più di sempre forse perché da tanto manchiamo o stupenda come sempre perché di simile in fondo sui nostri Appennini non c’è altro.